La
vasca di restrizione sensoriale: un esame psicofisiologico delle
prospettive di utilizzo
Massimiliano
Palmieri
Psicologo,
Roma
La
descrizione
La
prima vasca di restrizione sensoriale fu messa a punto dal Dott. J.C.
Lilly, medico con studi di psicoanalisi e specializzato in
neuropsicologia.
Egli,
mentre si occupava della questione dell’origine dell’attività
conscia del cervello, scoprì che la restrizione sensoriale nella
vasca, cioè l’assenza in questa dei normali stimoli a cui siamo
abituati (luce, suoni, odori, la percezione della forza di gravità,
le sensazioni tattili), proiettava la mente in stati elaborati
d’esperienza interna.
Le
moderne vasche di galleggiamento costituiscono un’evoluzione della
vasca di Lilly; costruite in vetroresina, sono riempite con una
soluzione satura di sali di EPSOM (MgSO4-7H2O); ciò equivale ad una
salinità pari a cinque volte quella del mare, per cui il
galleggiamento è possibile in soli venti centimetri di liquido.
La
temperatura dell’acqua è mantenuta alla stessa dell’epidermide,
lo strato più superficiale della pelle, per cui il contatto con
questa è quasi impalpabile.
La
restrizione sensoriale è ottenuta per mezzo dell’ambiente
insonorizzato, buio, termoregolato e dalla straordinaria capacità di
galleggiamento che permette la soluzione salina, che crea condizioni
di riduzione della gravità e facilita il rilassamento muscolare.
La
limitazione delle stimolazioni provenienti dall’esterno produce un
fenomeno chiamato “risposta parasimpatica”; tensione muscolare,
pressione sanguigna, battito cardiaco e consumo di ossigeno si
autoregolano verso condizioni ottimali, così come la produzione di
ormoni legati allo stress, come adrenalina, cortisolo e acetilcolina,
che vengono sostituiti dalle benefiche endorfine.
Inoltre,
le onde cerebrali subiscono una modificazione; dallo stato beta
(attività di veglia cosciente) attraversando lo stato alpha
(rilassamento senza
pensieri), arrivano allo stato theta
(rilassamento profondo); quest’ultimo stato si sperimenta di norma,
pochi istanti prima di addormentarsi, ma nella vasca può essere
prolungato per gran parte della sessione.
L’uso
della vasca di galleggiamento è indicato per problemi quali: asma,
artrite reumatoide, emicranie, mal di schiena, insonnia, oltre che
per l’evoluzione personale e l’esplorazione della coscienza.
Le
uniche limitazioni sono patologie come l’epilessia, la
schizofrenia o problematiche psichiatriche gravi.
Inoltre,
all’interno della vasca, se lo si desidera, è possibile ascoltare
musica, vedere filmati o, grazie ad un sistema di ventilazione, fare
aromaterapia.
Ritengo
tale premessa descrittiva fondamentale, anche se, mi rendo conto che
possa apparire troppo stringata, ma enumerare esaurientemente tutte
le caratteristiche della vasca di galleggiamento richiederebbe
veramente molto spazio; il lettore desideroso di avvicinarsi a questo
strumento di conoscenza, potrà comunque personalmente approfondirne
i dettagli tecnici e consultare i testi, seppur pochi, che ne
parlano, indicati in bibliografia.
Lo
stato theta
Caratteristica
fondante e pertinente a numerosi stati di coscienza che chiamano in
causa un ampliamento dell’Io, una sua espansione, incluso quello
sperimentabile all’interno della vasca di galleggiamento, è la
presenza, sul tracciato elettroencefalografico, di chi questi stai li
sperimenta, di onde chiamate “theta”.
Attraverso le tecniche di
registrazione dell’attività elettrica cerebrale,
l’elettroencefalografia per l’appunto, è possibile rilevare
differenti misure di ampiezza e di frequenza, al variare
dell’attività del cervello stesso, e quindi anche dello stato di
coscienza.
Troveremo quindi sul tracciato
elettroencefalografico, diverse bande di frequenza: la beta,
generalmente sopra i 15 Hz, che si evidenzia in condizioni di elevata
vigilanza; la banda alpha,
normalmente compresa tra 8 ed 11 Hz, tipica della veglia rilassata in
condizioni di scarsa stimolazione visiva; quella denominata theta,
che ha frequenze comprese tra 3,5 e 7,5 Hz, che è caratteristica
dello stato di transizione dalla veglia al sonno profondo, e la banda
delta,
con frequenze minori di 3,5 Hz (onde lente), che costituisce il sonno
profondo vero e proprio (Horne, 1988).
Buona parte del sonno umano, circa il
45%, è composto dallo stadio 2, caratterizzato dalla presenza di
attività con frequenza theta,
da fusi del sonno e da
complessi K.
I
fusi, denominati anche attività sigma,
consistono in raffiche di onde di 12-14 Hz, della durata di 0,5-1
secondi e sono presenti in tutti gli stadi del sonno, eccetto nello
stadio 1 e nel sonno REM
e
sono particolarmente evidenti durante lo stadio 2, che è composto
per la gran parte di onde theta
(ibidem).
Ricordiamo che Il sonno umano è suddiviso in stadi.
La
veglia, talvolta chiamata anche stadio 0, è contraddistinta da
attività alpha e beta.
Lo
stadio 1 costituisce in realtà una transizione dalla veglia al vero
sonno, ed occupa di solito solo il 5% di questo; è caratterizzato da
attività theta e scomparsa del ritmo alpha.
Lo
stadio 2 occupa il 45 % del sonno.
Lo
stadio 3 costituisce sopratutto una fase di transizione fra lo stadio
2 ed il 4 e rappresenta il 7 % circa del sonno; contiene attività
delta, che occupa una percentuale compresa tra il 20 ed il 50 %.
Quando
la durata di tale attività supera il 50 %, si raggiunge il sonno
profondo, lo stadio 4, che rappresenta meno del 13 % del sonno
totale.
Il
sonno REM compare regolarmente durante il corso della notte;
l’intervallo di tempo che separa l’inizio di un episodio REM,
dall’inizio del seguente, nell’uomo è di 30 minuti.
All’interno della vasca di
restrizione sensoriale, la significativa riduzione degli stimoli
esterni proietta il soggetto in uno stato che,
elettroencefalograficamente può definirsi theta;
questa particolare condizione contraddistingue anche numerosi stati
meditativi profondi, ma essendo presente nello stadio 2, viene
considerato alla stregua di questo, come quella parte del sonno della
quale si può fare a meno, sebbene ne occupi anche la maggior parte.
Ora, se mettiamo insieme questi dati,
avremo che: 1) lo stato theta
contraddistingue la fase di
transizione dalla veglia al sonno profondo delta;
2) tale stato può essere prolungato nella vasca attraverso la
restrizione sensoriale (Hutchinson, 1984) o con tecniche meditative
che comunque comportano una drastica riduzione della stimolazione
esterna; 3) lo stadio 2 di sonno è quello di cui l’essere umano
può privarsi più facilmente senza risentirne (Horne, 1988).
Abbiamo due dati contrastanti: lo
stato theta,
all’interno dello stadio 2 di sonno, è lo stato che meno ha
bisogno di essere recuperato ma, un suo prolungamento porta a livelli
di coscienza profonda che, “oltre alla crescita personale ed
all’espansione della normale consapevolezza, ci dona sensazioni di
benessere” (Hutchinson, 1984).
Se non c’è pazienza, ma se c’è
tanto meglio ?
Al di là di questa profana
osservazione, un dato però è certo: questo particolare tipo di
attività elettrica cerebrale rappresenta sempre più oggetto di
indagini nell’ambito degli studi sugli stati di coscienza e forse
potrebbe costituire un importante indice psicofisiologico utile per
“mappare”, diciamo così, cambiamenti degli stati di coscienza
stessi.
Non da ultimo, c’è da considerare
uno stato di coscienza specifico, lo stato ipnagogico, all’interno
del quale l’attività theta
raggiunge percentuali molto elevate (durante la veglia questo tipo di
attività elettroencefalografica raggiunge di norma solamente il 4%).
Lo stato ipnagogico è altrimenti noto
come “stato di pre-sonno” ed è la condizione mentale che precede
l’addormentamento.
A livello psicofisiologico è
caratterizzato da un profondo rilassamento somatico, con la
cessazione dei movimenti volontari, la diminuzione del tono
muscolare, della frequenza cardiaca e di quella respiratoria.
A livello nervoso centrale, il
correlato neurofisiologico più importante è l’alta densità
elettroencefalografia proprio del ritmo theta.
A livello mentale lo stato ipnagogico
si caratterizza per la presenza di un notevole numero di fenomeni.
Si assiste al cambiamento della
processualità con cui si svolge il pensiero, al passaggio dal
processo di pensiero secondario, logico-critico, al processo
primario, associativo-intuitivo (Margnelli, 2004).
In realtà i due processi co-esistono
e si alternano l’un l’altro in modo continuo, cosicché la
coscienza della veglia è come “spettatrice” di un’esperienza
(allucinatoria ed intuitiva) che in un certo qual modo le sfugge al
controllo (ibidem).
Si ritiene che la comparsa del
processo primario corrisponda ad una vera e propria attivazione della
coscienza del sogno che, dunque, coesisterebbe con quella della
veglia, alternandosi in modo subentrante ad essa, fin dall’inizio
del sonno (ibidem).
Lo stato ipnagogico è caratterizzato
inoltre, da un fenomeno detto di “autosimbolizzazione”, che
sembra dimostrare la stretta vicinanza tra la coscienza della veglia
e quella del sonno; esso consiste nella tras-formazione di un
percetto sensoriale che raggiunge ancora la coscienza della veglia,
in un’allucinazione ipnagogica; un rumore o un suono, per esempio,
possono essere trasformati in un contenuto allucinatorio che può
andare anche molto oltre il significato della sensazione originaria
(ibidem)
e questo è proprio ciò che si verifica sovente all’interno della
vasca di restrizione sensoriale (Hutchinson, 1984).
Il
simbolo di infinito che riunisce tra loro l’estasi ed il samadhi
simboleggia la possibilità di passaggio dall’uno all’altro stato
senza dover transitare per le tappe dei continuum ergotrofico e
trofotrofico.
I
numeri da 35 a 7 sono coefficienti di variabilità
elttroencefalografica secondo Goldstein ed indicano che l’aumento
di attivazione ergotrofica si accompagna ad una netta diminuzione
della variabilità EEG.
I
numeri da 26 a 4 sul continuum trofotrofico esprimono le frequenze in
Hertz che predominano negli stati beta, alpha e theta (Fischer,
1971).
Come avviene la restrizione
sensoriale all’interno della vasca ?
La vasca di galleggiamento permette di
ottenere una condizione molto particolare, in cui tutti gli stimoli
sensoriali che normalmente entrano in contatto con i nostri organi di
senso, vengono ridotti, ristretti appunto, così che al nostro
cervello resta molta energia, in termini di
attenzione/consapevolezza, inutilizzata.
Come ho già accennato prima, i testi
che tratto la vasca di galleggiamento sono veramente pochi, e
pressoché nessuno spiega in termini esaurienti come avvenga
realmente la restrizione sensoriale al suo interno; è per questo che
ho cercato, per mezzo di uno schema, di evidenziare, spero in modo
comprensibile, come tutte le afferenze sensoriali vengono limitate,
limitando quindi anche l’attività dei recettori coinvolti.
La
restrizione sensoriale viene ottenuta attraverso modalità diverse
per ciascun sistema sensoriale.
Per
quanto riguarda sia le stimolazioni tattili propriamente dette, che
quelle di tipo termico, la limitazione sensoriale è ottenuta
mantenendo sia la temperatura della soluzione, che quella dell’aria,
alla medesima dello strato superficiale della pelle (l’epidermide),
così che la soglia dalla quale in poi i recettori cutanei iniziano
ad inviare i loro segnali (circa 35 C°), non viene superata
(Hutchinson, 1984); ciò si traduce in assenza di stimolazioni
tattili.
Per
quanto riguarda i recettori visivi, l’ambiente all’interno della
vasca è completamente buio, quindi ciò che viene segnalato al
sistema nervoso centrale dagli occhi è questo, un ambiente
assolutamente privo di luce.
Questo, è del
resto soggettivamente comprensibile, all’interno della vasca di
galleggiamento, dal momento che, anche dopo l’adattamento dei
recettori visivi all’ambiente privo d’illuminazione, l’apertura
e la chiusura in rapida successione degli occhi, non permette di
vedere alcunché.
I recettori acustici, presenti
all’interno del sistema acustico (vestibolo-cocleare), non ricevono
alcun tipo di input dall’esterno, poiché il galleggiatore
indosserà prima di entrare, dei tappi per le orecchie che si
adattano perfettamente ai condotti auricolari, chiudendoli
ermeticamente.
Le cavità nasali costituiscono un
ingresso ed un’uscita per l’aria che respiriamo; durante questi
processi, le particelle odorifere presenti nell’aria, vengono a
contatto nella mucosa nasale, con i recettori olfattivi che le
analizzano segnalando poi a livello centrale, al cervello, che è
stato percepito uno specifico odore, perciò se volessimo eliminare,
all’interno della vasca, la possibilità di percepire gli odori,
avremo la necessità di chiudere le cavità nasali, influendo così
però anche sui processi respiratori.
Premesso ciò ipotizzo che, per quanto
attiene gli input sensoriali olfattivi, subentri un processo di
abituazione piuttosto che di restrizione.
Sempre all’interno del sistema
acustico (vestibolo-cocleare) sono presenti altri tipi di recettori,
oltre a quelli deputati alla trasduzione del suono, che hanno il
compito di provvedere ad inviare al cervello, parte delle
informazioni relative alla propriocezione, nel senso di fornire dati
che, integrati con altri, segnaleranno la posizione del corpo nello
spazio (Kandel, Jessen, Schwartz, 1985).
Il sistema deputato alla rilevazione
della posizione del nostro corpo nello spazio (propriocettivo
vestibolare) è influenzato direttamente, per ciò che qui ci
interessa, attraverso la potente spinta antigravitaria che i sali di
EPSOM esercitano sul corpo; questo crea una condizione di assenza di
gravità, o meglio, di microgravità, che sopprime le afferenze di
origine gravitaria provenienti dall’orecchio interno (organi
otolitici nel vestibolo)
(Perrìn et. al., 1987).
Gli organi otolitici, presenti nell’orecchio interno, nella sua
porzione vestibolare, hanno la funzione di rilevare l’accelerazione
lineare cui è sottoposto il capo durante il movimento e la posizione
di questo rispetto alla forza di gravità; per approfondimenti, vedi
un qualunque testo di neuroanatomia.
La forte spinta fornita alla persona
impegnata nel galleggiamento è adeguata a contrastare la forza di
gravità, non così potente da annullarla, ma capace di ridurla in
misura notevole.
Proprio perciò è necessario, per
correttezza, parlare di microgravità, anche se per comodità di
esposizione ho utilizzato entrambi i termini come sinonimi.
Ciò dunque, si traduce in
informazioni, a partenza dai recettori muscolari (propriocettori
muscolari e tendinei) disposti in tutto il corpo, di microgravità
(Hutchinson, 1984); il che significa che al sistema nervoso centrale
non giungeranno più le informazioni necessarie al mantenimento del
tono muscolare di base, occorrente per contrastare tale forza;
inoltre, dopo che il cervello ha ricevuto questi dati dalla periferia
somatica, a sua volta li invierà ai recettori prima menzionati,
influenzandoli ulteriormente, nel senso di una ulteriore riduzione di
tono, in un gioco circolare tra il centro-cervello e la periferia
corporea.
Le informazioni circa la microgravità,
come su esposto, comportano la soppressione delle afferenze
provenienti dall’orecchio interno responsabili della de-codifica
del segnale gravitario.
Ora, dato che sono numerose le
evidenze di un’influenza di tali afferenze sul riflesso che media
la posizione del corpo in base alle informazioni provenienti
dall’orecchio interno stesso (riflesso vestibolo-spinale), nelle
differenti condizioni di gravità (Parker, 1981, Vedi anche Lackner,
The equilibrium system of
astronauts, 1992, per il
confronto della situazione microgravitaria ottenibile nella vasca di
galleggiamento, con una condizione patologica degli astronauti in
condizioni di gravità zero, “il mal di spazio”), si renderà
evidente il ruolo che gli organi presenti nell’apparato vestibolare
(orecchio interno) hanno nella modulazione del tono posturale
(muscolare); ciò quindi darà origine a scambi di informazioni,
mediate dal sistema nervoso centrale, tra gli organi otolitici,
all’interno dell’orecchio ed il sistema muscolare; informazioni
di riduzione del tono (tensione) muscolare di base, poiché la
microgravità non impone il mantenimento di questo, come invece
accade in condizioni di normale stimolazione sensoriale.
Il punto centrale dello schema sono
proprio le informazioni provenienti dal sistema muscolare; la
riduzione del tono muscolare porta alla modifica della percezione del
proprio corpo, dei confini corporei, dei confini del proprio Io, che
a sua volta porta ad una modifica della coscienza di base (approccio
per sistemi a gli stati di coscienza; Tart, 1975), che a sua volta,
in un gioco circolare tra centro e periferia corporea, influenzerà
la percezione dei propri confini corporei.
Sappiamo inoltre che, modifiche della
coscienza possono influenzare il sistema vestibolo-cocleare
(l’orecchio interno), nella sua porzione vestibolare e che questo è
variamente interconnesso alla percezione dei propri confini corporei
(Schilder, 1935).
Dunque, le informazioni di assenza di
stimolazioni a livello cutaneo, visivo, acustico, olfattivo e
propriocettivo muscolare e vestibolare, vengono trasmesse attraverso
reafferentazioni di ritorno, al sistema nervoso centrale e questo a
sua volta contribuisce ad influire sullo stato di coscienza. Sostengo
l’assenza, indistintamente per tutte le afferenze sensoriali, solo
per comodità, poiché abbiamo visto che per la percezione olfattiva
non è così.
La vasca di galleggiamento dunque,
permette la riduzione di gran parte delle afferenze sensoriali,
proiettando il galleggiatore in una realtà “altra”, dove i
confini corporei, ma possiamo parlare di confini dell’Io, essendo
questo insediato nel corpo, si fanno via via sempre più labili ed
indistinti permettendo vissuti di fusione con l’ambiente
circostante e di espansione della coscienza.
Indistinzione, coesione e
trascendenza dell’Io attraverso il percorso dell’appoggio e della
fiducia
Le
modalità con le quali si esplica la restrizione sensoriale
all’interno della vasca di galleggiamento e i dati che ho ottenuto
dalla mi ricerca, oltre a costituire un’evidenza del legame stretto
che esiste tra la modifica della coscienza ordinaria, che avviene
all’interno della vasca stessa, ed il sentimento “unitivo” (De
Martino, 2000), o di “fusione oceanica” (Freud, 1929), potranno
essere presi in considerazione alla luce dell’enorme importanza che
vengono ad assumere i confini corporei per l’individuo,
rappresentanti come sono del primo contatto di questo con l’ambiente
esterno, ma anche veicoli per esperienze autorealizzanti implicanti
la temporanea perdita dei contorni corporei stessi.
Ora,
se consideriamo l’importanza di possedere dei confini corporei
elastici, tali da permettere una buona relazione con gli altri, è
possibile ipotizzare che la vasca di restrizione sensoriale possa
essere utilizzata in questo senso, che con essa sia cioè possibile
una ri-definizione dei confini dell’Io meno rigidi, in modo tale da
permettere una gestione più sana delle relazioni interpersonali.
La
definizione-indistinzione dei confini costituisce una tematica
importante per lo sviluppo del bambino nei primi mesi di vita.
Questi
passerà gradualmente da un’esperienza simbiotica, di fusione con
la madre (fase simbiotica; Mahler, 1978), di “illusione di un
confine comune tra loro”, di “onnipotenza e grandiosità”
(Kohut, 1971), attraverso esperienze di “frustrazioni ottimali”,
alla separazione ed alla percezione di sé come distinto dall’altro.
Questo
processo rappresenta la “maturità narcisistica”, che nella sua
progressione passerà obbligatoriamente per il corpo, inteso come
elemento strutturale dell’Io e per la definizione dei confini di
questo, poiché “in questo ambito la coesione dell’Io non può
prescindere dalla coesione dei processi corporei” (Ruggieri,
Fabrizio, 1994).
“Viene
appreso un procedimento in virtù del quale, attraverso la guida
intenzionale delle proprie attività sensorie ed un’opportuna
azione muscolare, è possibile distinguere fra ciò che è interno,
di proprietà dell’Io, e ciò che viene dal mondo esterno”
(Freud, 1929).
La
graduale differenziazione del me dal non-me è legata inoltre al
concetto dell’appoggio, della scarica delle tensioni;
dall’etero-appoggio, dall’appoggio sull’altro, si passa, nel
corso della maturazione, all’auto-appoggio, alla capacità di
scaricare il proprio peso corporeo e così di ridurre le tensioni
muscolari.
L’esperienza
dell’appoggiarsi è inoltre saldamente ed inscindibilmente legata
alla costruzione della fiducia, che viene appresa già nel corso
delle prime esperienze diadiche madre-figlio (Ruggieri, 2001).
Lo
sperimentare nel bambino la sensazione di “caduta”, di mancanza
del fondamentale etero-appoggio da parte della madre, causerà un
innalzamento delle tensioni muscolari che in definitiva avranno lo
scopo di opporsi al vissuto di “inconsistenza e disgregazione”
incombente.
La
capacità di appoggio (influendo notevolmente sul controllo delle
tensioni muscolari) è strettamente collegata alla postura,
all’atteggiamento posturale, che a sua volta riflette fedelmente la
rappresentazione mentale che il soggetto ha di sé (tema legato
all’immagine corporea), indicando come esso si colloca nel mondo e
come esso immagina la propria relazione corpo-spazio, Sé-altro.
E’ possibile quindi, che l’individuo
porti con sé tale nucleo fondamentale anche nell’età adulta,
nucleo legato alle esperienze protomentali di sicurezza-insicurezza,
stabilità-instabilità, incluse nella tematica diadica madre-figlio,
indicate come modulatrici ed organizzatrici delle tensioni posturali
di base nel corso della vita (ibidem).
L’operazione di costruzione dei
confini corporei, separanti l’Io dal non-Io è uno dei processi
fondamentali “protomentali”; sviluppando questo processo il
soggetto costruisce attivamente non solo l’Io, ma anche il non-Io
nella forma dello spazio esterno a sé.
Il termine “protomentale” è stato
coniato da Bion (1962) per individuare e descrivere una particolare
modalità di funzionamento della mente, che è presente e
predominante nelle primissime fasi dello sviluppo.
Con tale termine questo autore intende
riferirsi ad una serie di processi che si collocano in un’area di
confine tra il somatico e lo psichico; sembra quasi che egli voglia
così cogliere il momento in cui nascono i primi processi mentali.
Necessaria alla distinzione dell’Io
da tutto ciò che non è tale, è la presenza di confini corporei
stabili che, in sostanza limitino il nostro spazio interno (dalla
pelle verso l’interno) dal nostro spazio esterno (dalla pelle verso
l’esterno).
Si comprende dallo schema precedente
come, nell’operazione di costruzione dello spazio siano coinvolti
più canali sensoriali simultaneamente; visivo, acustico,
propriocettivo (muscolare-somatico), ed è proprio questo ultimo che
svolge la funzione particolare di componente base per la costruzione
dell’esperienza corporea, della presenza dell’Io, esperienza che
quindi è alla base sia della costruzione della propria immagine
corporea, sia alla base della costruzione dello spazio esterno.
Nel modello psicofisiologico
integrato, definito anche bioesistenzialista (Ruggieri, 1988) la
circolarità del processo di costruzione dell’immagine corporea è
centrale; questa si viene a formare nella regione del cervello
chiamata lobo temporale e viene intesa come un sistema funzionale che
è la risultante dell’integrazione di tutte le informazioni
sensoriali. Ricordiamo che il “modello psicofisiologico integrato
bioesistenzialista” in psicologia, studia ed integra i livelli
funzionali biologici e psicologici, mentre prevede una circolarità
tra l’attività del sistema nervoso centrale e la periferia del
corpo; per approfondimenti del modello e della trattazione
dell’immagine corporea, vedi Ruggieri, 1988, 1994, 1997a, 2001, e
più recenti.
Dalla periferia del corpo provengono
continuamente afferenze che contribuiscono a ri-strutturare in ogni
momento l’immagine corporea.
Ora, all’interno della vasca di
restrizione sensoriale, la potente spinta antigraviatria che
permettono i sali di EPSOM, offrirà un appoggio attraverso il quale
il soggetto potrà permettersi di “lasciarsi andare”, di
“fidarsi”, scaricando il peso e riducendo le tensioni muscolari;
il tutto sostenuto dall’aumento della permeabilità dei propri
confini corporei, quasi come se fosse possibile sperimentare di nuovo
l’epoca in cui la distinzione tra sé e l’altro era labile. I
numerosi appellativi utilizzati per denominare la vasca di
galleggiamento, fanno spesso riferimento a questa condizione unitiva
di in distinzione calda e simbiotica.
Gran
parte della problematica narcisistica, è considerata, all’interno
di numerosi modelli dello sviluppo psicologico, come dipendente da
interferenze intercorse in questo processo basilare che è
caratterizzato dal passaggio dall’etero-appoggio (per esempio,
appoggiarsi sulla madre, o all’interno di una psicoterapia, sul
terapeuta) all’auto-appoggio (Ruggieri, 2001).
Penso
che per molte situazioni cliniche implicanti una cattiva definizione,
percezione e/o fruizione dei propri confini corporei, ergo
delle proprie tensioni corporee, con un adeguato sostegno terapeutico
durante le sessioni con la vasca, attraverso quindi la gestione
ottimale del passaggio dall’etero-appoggio fornito dal terapeuta
all’auto-appoggio realizzabile a causa della spinta data dai sali,
sia possibile la trasposizione in un nuovo contesto (quello dell’età
adulta e della sopraggiunta capacità maturativa) delle problematiche
che sono la causa del disagio, permettendone un’analisi più
approfondita ed accurata.
Per
mezzo del “contenimento” che il terapeuta avrà l’obbligo di
porre in atto1
(Poiché, a causa dell’assenza di una adeguata integrità
narcisistica, potrà accadere che le temporanea negazione che l’Io
dovrà fare di sé per aderire alla totalità esterna, porti il
soggetto ad esperire angosciosi vissuti dis-integrativi; si può, in
sostanza, essere sopraffatti da materiale emotivamente carico che non
si è pronti ad affrontare. La riduzione delle tensioni muscolari,
come accade nella vasca di restrizione sensoriale, può risultare
pericoloso, se a questa non si accompagna un rinforzo dell’Io,
rinforzo che inizia dalla costruzione dell’autofiducia attraverso
concrete esperienze di appoggio e contenimento. La letteratura
reichiana (Reich, 1973) chiama in causa proprio la liberazione dai
“blocchi di energia” (rimozione meccanica delle contratture
muscolari) come possibile causa delle estreme reazioni di angoscia di
questi pazienti), il paziente potrebbe, attraverso l’acquisizione
di una nuova rappresentazione dei propri confini corporei,
sperimentare e gradualmente ottenere, il passaggio dalla condizione
simbiotica di indifferenziazione tra se e l’altro, ad una nuova
condizione di integrità ed unità che genererà il “piacere
dell’esserci, il piacere narcisistico derivante dalla integrazione
degli eventi corporei” (Ruggieri, 1997a).
Questa
modalità di approccio proposta chiama in causa l’appoggio ed il
contenimento, che potranno realizzarsi in maniera molto graduale,
partendo dalle prime esperienze di indistinzione con l’altro, di
confini comuni, fino a giungere alla separatezza auspicata,
necessaria ad un buon vissuto dell’esserci.
La
via muscolare al mondo transpersonale: oggettività scientifica
all’interno di un’esperienza totalizzante
I
muscoli, con le loro afferenze propriocettive
forniscono una base
sensoriale per la costruzione nucleare dell’immagine corporea.
Il
calo del tono muscolare che avviene nella vasca di restrizione
sensoriale, accompagnato dalla maggiore permeabilità dei confini
corporei, permette la temporanea assenza delle sensazioni relative ai
contorni del proprio corpo; un ritorno ad una condizione di “stato
unitivo dal quale alla nascita saremo stati strappati” (De Martino,
2000).
Freud
e Rolland (Freud, 1929), discutevano principalmente sulla “fusione
oceanica”, sulla possibilità che questa rappresentasse il
requisito per l’ottenimento in vita di un sentimento di
religiosità; l’esperienza di assottigliamento dei confini corporei
risulta parte integrante di questo processo.
La
conferma del fatto che, data la residenza dell’Io all’interno dei
confini corporei, l’Io stesso si espande verso l’esterno, o
meglio diviene maggiormente permeabile verso l’ambiente esterno,
supporta anche una altro dato, a prima vista marginale, se si adotta
un’ottica clinico-terapeutica ortodossa; il sentimento inclusivo e
fusionale dell’Io che è possibile sperimentare all’interno della
vasca di galleggiamento si accompagna ad una modifica della coscienza
di base, che rende evidente il nesso, da più parti indagato, tra la
psicologia e la fisiologia, di questi stati “unitivi”.
Ovviamente
quindi, queste considerazioni non possono non tener conto delle
possibili utilizzazioni degli gli stati modificati di coscienza in
ambito psicoterapeutico.
Nei
“vissuti di confine”, negli “stati altri”, che rappresentano
un trascendimento dei contenuti ordinari della coscienza, si assiste
alla scomparsa dei normali limiti corporei, alla con-fusione tra
questi ed il mondo circostante, “la sfera della coscienza estende
il proprio diametro all’infinito, fino a farla coincidere con la
sfera del cosmo, in un’indistinzione in cui l’individuo
concepisce il cosmo stesso come personalità e le origini
dell’universo come fatto psichico” (Venturini, 1995).
Se
il nostro abituale senso dell’Io separato dall’altro, è
fortemente ridotto o temporaneamente abolito in uno “stato di
coscienza modificato”, ci si può sentire molto più vicino ad
un’altra persona (Tart, 1975), come in una sorta di empatia
esponenzialmente amplificata dall’assenza di confini.
Qui
entra in gioco “la psicologia transpersonale che, superando il
limite dell’identità personale, estendendo al di là dei confini
individuali, lo studio di aspetti importanti dell’umanità e della
vita, si è fatta erede dell’arte della trascendenza” (Venturini,
1995).
Nell’auto-trascendenza
(che in definitiva è dei confini del proprio Io) sembra potersi
ritrovare la risposta a domande che riguardano il cammino dell’uomo
e la sua autorealizzazione; infatti è proprio attraverso la ricerca
di questi “stati altri” che, per mezzo dell’identificazione con
la coscienza universale, si può realizzare una condizione di
profondo cambiamento mentale, nella direzione del superamento della
soggettività biografica (ibidem).
La
transizione ed il mutuo scambio dei contenuti auspicati
rende evidente la
necessità di una “temporanea” sospensione dei limiti tra l’Io
ed il mondo esterno.
Sostiene
Venturini che “al fine di operare quella reintegrazione del mondo
in cui dovrebbe esitare il processo di autorealizzazione, è
necessaria una ristrutturazione dell’assetto ordinario dei sistemi
psicologici, il superamento dei loro confini e la realizzazione di un
atteggiamento an-egoico; questo a sua volta, richiede, per prodursi,
un cambiamento dello stato di coscienza, ottenuto attraverso il
riassetto dei sottosistemi dell’elaborazione dell’input (Tart,
1975), del vissuto corporeo, dell’identità, etc.; è l’identità
transpersonale la nuova identità che dilata quella (la vecchia)
personale e si realizza con il portare in campo l’infinito, a cui
l’Io personale si ancora in un processo di autotrascendenza,
centrato sul cambiamento di coscienza” e sulla temporanea negazione
della propria distinzione con il mondo esterno.
E’
infatti proprio in quella coscienza ordinaria e dualistica, che
distingue e contrappone soggetto ed oggetto, Io e mondo, che si
realizza il vissuto della separazione e del disagio avvertito
dall’uomo. In termini di “approccio per sistemi agli stati di
coscienza” (ibidem),
l’Io è definito come avente continuità, coesione e coerenza nel
suo funzionamento e come modificabile attraverso un cambiamento nel
modello in cui questo funziona.
L’utilizzo
della vasca di restrizione sensoriale, concepito come un’esperienza
psicofisiologica globale può “aprire” a spazi mentali, ricordi
rimossi dal campo della coscienza che, in un contesto di modifica di
questa, diventano materiale da integrare nell’ambito della più
ampia riorganizzazione dell’Io, attraverso l’autotrascendenza ed
il superamento di quelli che Lilly (1967) chiamava i
“meta-programmi”.
Il
superamento di questi può avvenire solamente in un contesto di nuova
definizione del proprio Io che, attraverso il superamento della
concezione duale soggetto-oggetto, “mira al ritorno a quel
sentimento omnicomprensivo che corrispondeva in passato ad una più
intima com-unione con l’ambiente” (Freud, 1929).
Ecco
allora il perché della doverosa necessità di attenzione che la
psicologia transpersonale merita.
Le
esperienze descritte da Grof (1998) quando parla delle Matrici
Perinatali di Base (MPB), altro non sono che il verificarsi del
trascendimento dei normali limiti personali e dell’Io che riportano
esperenzialmente l’individuo “indietro” attraverso il canale
del parto, ad una condizione di beatitudine indistinta, di regioni
senza confini, quasi che l’utero venga nuovamente a rappresentare
il canale di comunicazione tra la nuova, temporanea e più breve
condizione di labilità dei propri confini e la progressiva
ri-definizione di questi, in un contesto di maggiore capacità di
analisi dovuta alle sopraggiunte capacità maturative.
In
un ambiente come quello della vasca di restrizione sensoriale,
sostenuto dal fenomeno della “risposta parasimpatica”, è
possibile affrontare con maggiore serenità questo tipo di
“ri-definizioni”, sostenuti come si è da un cambiamento che è:
di tipo biochimico, che implica la riduzione dei livelli ormonali
legati allo stress, come il cortisolo, così come la messa in circolo
delle benefiche endorfine (Turner, Fine, 1990); di tipo fisiologico,
che interessa la riduzione della tensione muscolare, della pressione
arteriosa e della frequenza respiratoria (ibidem);
di tipo neurologico, dato l’ottenimento della sincronizzazione
emisferica, che amplia le potenzialità di sviluppo umano includendo
un utilizzo migliore e maggiore dell’emisfero destro (Hutchinson,
1984); di tipo psicologico, poiché la possibilità di ottenere tutti
questi numerosi effetti benefici, ivi inclusa una migliore
disposizione verso l’ambiente esterno, attraverso una maggiore
permeabilità dell’Io, permette di essere maggiormente consapevoli
attraverso l’autoesplorazione e l’autoindagine, di cognizioni e/o
azioni che in qualche modo sono cruciali nella propria storia; di
tipo sociale, per la possibilità di apertura verso gli altri, di
migliorare il contatto con questi, di gestire in modo sano e migliore
le relazioni interpersonali.
In
ambito clinico applicativo, si è constatato che spesso gli
interventi di tipo psicoterapeutico, basati solo sul colloquio, e/o
di tipo farmacologico non bastano, mentre le esperienze interiori
intense e dirette posseggono un grande potenziale sanante e
trasformativo.
Il
punto di incontro tra la psicoterapia classica
e l’universo delle
esperienze “totalizzanti e annullanti” caratteristiche delle
filosofie orientali, è rappresentato dalla psicologia transpersonale
che, aperta alla dimensione spirituale, è stata sviluppata da quegli
psicologi che riconoscono l’esistenza di livelli di coscienza che
trascendono i normali confini dell’Io e del pensiero razionale.
Questi
allargarono il campo di studio, includendovi non solo la patologia,
ma anche l’individuo sano con le sue potenzialità, e constatarono
che a volte delle crisi esistenziali portavano ad esperienze
trasformative che spingevano l’individuo alla realizzazione di sé
e ad una nuova consapevolezza.
L’induzione e
l’utilizzo degli stati di coscienza alterati, in qualsivoglia modo
vengano ottenuti, sono inserite, e da questa non si separano,
nell’ambito della più ampia “ipotesi generale del set e del
setting”, elaborata ad Harward negli anni settanta; il modello
generalizzato del “set e del setting” negli stati modificati di
coscienza, è una teoria che risale alle prime ricerche sugli
psichedelici, iniziate da Timothy Leary, Ralph Metzner e Richard
Alpert.
La
teoria prendeva in esame i fattori dell’atteggiamento individuale
(set), che comprendono attitudini interiori, personalità,
motivazioni, aspettative, ed i fattori esterni (setting), quelli cioè
relativi al contesto, all’ambiente esterno sia fisico che sociale,
compresa la presenza di altre persone, come il terapeuta, il medico o
la guida.
Certo,
sarà necessario che vengano compiuti ancora studi sulle effettive
potenzialità della vasca, nel senso della verifica della stabilità
dell’effetto di maggiore permeabilità dei propri confini corporei
attraverso il tempo, così come saranno necessarie altre indagini,
che andranno ad analizzare puntualmente se l’ottenimento della
possibilità di fruire di una maggiore permeabilità dei propri
confini, sia migliorabile attraverso più sessioni.
Ritengo
quindi saggia la conduzione di ulteriori studi che ne testino le
piene potenzialità e che quindi ci permettano di utilizzarla in modo
coscienzioso e giusto; al pari sono persuaso che sia palese la
necessità di attenzione, che anche le altre metodiche
d’introspezione e di modifica della coscienza, meritano.
Il
transpersonale, come indagato da Wilber, Grof e Venturini,
rappresenta la fonte inesauribile della conoscenza umana, che lungi
dall’essere dimenticata, risiede nelle architetture neuronali dei
nostri cervelli e può essere considerato come la chiave di volta per
la comprensione prima e l’attuazione poi, di condotte più giuste e
rispettose verso tutti.
Speculazioni
filosofiche di tal sorta, per avere un qualche rispetto scientifico,
debbono però essere accompagnate da dati verificabili che ne testino
la valenza; questo mio piccolo contributo vuole essere uno di questi.
[Tutto
il materiale presente in questo articolo, è tratto da un lavoro di
Tesi di Laurea in Psicologia Clinica, con la cattedra di
Psicofisiologia clinica dell’Università La Sapienza di Roma, dal
titolo: “Indagine della variazione nella percezione dei confini
corporei nella vasca di restrizione sensoriale”, perciò numerosi
argomenti sopra esposti sono stati, per esigenze di spazio,
volutamente sintetizzati; il lettore che stimolato dalla curiosità,
volesse approfondirne i contenuti, potrà prendere contatti con la
SISSC, responsabile della rivista in cui l’articolo stesso è
inserito]
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